Ricomincio da sette…

Ricomincio da sette… un po’ oltre la soglia di tre che Massimo Troisi citava nell’omonimo film. Nel dubbio tra ripartire con un blog ex-novo o dare continuità al passato, ho scelto la seconda via. Certo, in questo tempo trascorso la vena narrativa è rimasta silente, ma non ha mai smesso di nutrirsi; anzi, si è lasciata contaminare dalle arti figurative, dalla grafica e dagli strumenti digitali che consentono di rappresentare la realtà attraverso il metalinguaggio delle forme: moderni graffiti attraverso cui rappresentare visioni e progetti del presente.

Ecco allora che i miei vecchi post affondano nel passato come radici di questo nuovo progetto. Qui intendo raccontarmi portando le mie esperienze, mai troppo seriamente, mai con troppa leggerezza…

Grazie per essere arrivati fino a qui.

I russi e l’amore per l’Italia: una questione di entropia.

Durante l’elaborazione dell’indagine sul rapporto dei Russi con il Made in Italy per l’osservatorio Italian ways of life  abbiamo notato che solo il 42,3% sceglierebbe l’Italia come futura dimora. Il nostro primo pensiero è stato il crollo di un luogo comune che ci portava a pensare all’Italia come meta ambita. Il secondo è stato la voce di A. Korzybsky  mentre sentenziava: “la mappa non è il territorio”, con il risultato di riportarci a guardare l’argomento da un diverso punto di vista. Andando maggiormente in dettaglio ed incrociando i dati,  emerge che i cittadini russi che avevano già viaggiato in Italia rispondevano positivamente per il 52,3% , all’incirca il 25% in più rispetto al campione generale. Quindi chi era già stato in Italia imparava ad apprezzarne la sostanza e a cambiare visuale. Una questione di cuore, di emozioni, territorio, persone, cibi e cultura. Tutti valori questi in grado di stimolare i sensi ed influenzare bisogni e desideri. Questo, il marketing lo definisce “esperienza d’acquisto” ed è la capacità di trasformare il processo d’acquisto in qualcosa di arricchente, una vera e propria esperienza che aggiunge valore al semplice atto di compravendita.

E’ una questione di energia in cui l’azione spetta al venditore. Viene da chiedersi chi sia il venditore in questo caso. Il sistema paese senza dubbio: in altre parole le istituzioni, gli imprenditori, le strutture ricettive e le organizzazioni di promozione e rappresentanza arrivando per gradi all’accoglienza di ognuno nei confronti dei turisti.
Come dimostra il cambio di prospettiva da parte di chi aveva già soggiornato in Italia, il cittadino russo ha un ottimo potenziale di fidelizzazione rispetto al nostro paese ma questo richiede di essere coordinato e alimentato con stimoli appropriati. Se questo avverrà, sarà tutta la filiera del Made in Italy a beneficiarne, quindi non solo turismo ma anche l’avvio di relazioni commerciali, investimenti diretti in attività economiche o immobiliari, reputazione e molto altro. Qualcosa di simile era già avvenuto negli anni ’70-’80 con i turisti americani e tedeschi i quali furono i pionieri delle relazioni commerciali con molti piccoli e medi imprenditori italiani poi cresciuti.
In tutto questo il tempo gioca una variabile fondamentale: non esiste solamente l’Italia ed i Russi non hanno motivazioni particolari per scegliere questa rispetto a mete altrettanto allettanti in Europa (si pensi ad esempio alla Francia, nostra eterna concorrente, ma anche Cipro e la vicina Turchia).

Se aumenta l’offerta, in qualche modo nella mente del cliente aumenta il “caos” e la complessità decisionale. Se volessimo utilizzare un concetto preso a prestito dalla Fisica: aumenta l’entropia. In pratica è normale che un fenomeno vada verso il caos e si deve considerare che i processi naturali non sono reversibili: se bruciamo un pezzo di legno questo produrrà calore ma una volta completata la combustione non sarà più possibile tornare alla situazione di partenza. L’amore dei Russi per l’Italia rischia di bruciare producendo un po’ di calore e molta cenere. L’inversione di questo processo dipende da quanta energia siamo disposti ad investire in questa fase storica.

La tipografia degli animali.

Nell’ambito di un recente progetto di Marketing mi sono imbattuto in tre aziende del settore tipografico che stanno interpretando in modo molto diverso l’attuale congiuntura ma tutte hanno successo nel contrastare la crisi di mercato che attanaglia la quasi totalità dei settori. A volte riportare ciò che si osserva attenendosi rigidamente ai fatti rischia di appiattirne la prospettiva quindi ho  pensato di esprimere le mie riflessioni attraverso metafore, attingendo al mondo animale in chiave orwelliana. la fattoria degli animali
In questa storia non ci sono maiali, i protagonisti sono diversi in partenza e grazie alla loro eterogeneità riescono a presidiare segmenti complementari. Chissà, magari mi riscopro moderno Andersen e senza voler creare falsi moralismi, potrò contribuire nel mio piccolo a gettare qualche briciola di pane per ritrovare la strada in questo peregrinare scandito dal ritmo di giullari e menestrelli del nostro tempo. Di ogni azienda ho cercato un animale in natura che, per analogia, richiami un comportamento simile. Ogni riferimento è espressamente voluto, pur non citando mai direttamente gli interessati.
Per primo ho incontrato il pavone, una coda bellissima dai colori sgargianti che si propone al mercato grazie alla continua ricerca in materiali e tecnologie. Esso pur avendo mantenuto un attaccamento al proprio habitat, dal quale attinge competenze d’eccellenza, mi ha confidato di muoversi in un territorio più ampio per accattivarsi l’ammirazione dei clienti del settore design. Ad essi offre la capacità di accudire i loro progetti non solo sotto il profilo tipografico ma anche attraverso servizi accessori tagliati su misura quali la fotografia allegorica e tecnica, i rendering d’interni e la multimedialità. L’elevato livello di specializzazione e l’esperienza maturata in questi anni nei settori di pertinenza gli hanno permesso di sviluppare importanti competenze distintive.
Mentre si prendeva cura di un mio progetto il pavone mi ha parlato del gatto, rapido e misterioso, divenuto famoso ai più per le affinità con streghe e maghi (soprattutto). Il gatto pur essendo animale solitario, è anche in grado di convivere in colonie della stessa specie, dove stabilisce regole ferree di collaborazione e gerarchia. Inoltre fin dal tempo degli egizi ha stretto un patto di simbiotica convivenza con l’uomo il quale, a quel tempo, lo venerava in cambio del servigio di liberare i granai dai ratti. I granai che il nostro gatto sovrintende oggi sono i depositi della cultura moderna, le librerie. Esso grazie all’abilità nella caccia e all’accordo con la colonia dei suoi simili è in grado di precipitarsi nei moderni depositi in tempi brevissimi, evitando all’uomo di strutturarsi per mantenere una propria colonia felina. In un’epoca in cui la frenesia della vita quotidiana stava rendendo sempre più difficile la vita dei felini di rotativa, il nostro gatto ha capito che l’uomo aveva bisogno di liberarsi di sovrastrutture logistiche ed acquisire flessibilità, attraverso sistemi di pianificazione vicini alla lean production.
Mentre ammiro i due animali, maestosi, scopro che uno scoiattolo intento a presidiare il mercato adiacente alla propria tana si accinge ad investire in nuove tecnologie di stampa digitale nonostante la stagione siccitosa sia avara di bacche e frutti. Non lasciamoci ingannare signori dalla mole ridotta dello scoiattolo perché è un profondo conoscitore del suo habitat ed è fortemente connesso con l’ambiente circostante dal quale coglie ogni opportunità, con la volontà, nel pieno rispetto della “legge di attrazione”.
E come tutte le storie anche questa finisce. Il lieto fine è solo temporaneo e non senza difficoltà ma vogliamo credere che possa continuare. Come in Africa, anche in questo caso, ogni mattina, non è importante che tu sia gazzella o leone, l’importante è cominciare a correre…

Crisi del fashion Made in Italy tra figurine Panini e “buoni” consiglieri…

Qualche sera fa mi stavo dedicando a tutte quelle email non prioritarie che dopo qualche giorno rischiano il “seleziona tutto & cancella”. All’interno di un Google alert trovo il link ad un articolo su Spazio Impresa dedicato alla crisi del Made in Italy ed a 5 utili consigli per uscirne. Fonte: una nota società di selezione specializzata nel settore moda. Data l’autorevolezza di cui gode decido di leggere e mi concentro, pronto a spremere i consigli anticrisi… VIA:

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1) puntare su software e personale qualificato per migliorare la gestione: ce l’ho!
2) valorizzare l’esperienza  affidandosi a manager con una lunga carriera in grado di affrontare più serenamente la congiuntura: ce l’ho!
3) spazio alla creatività: ce l’ho!
4) più forza alla rete vendita: ce l’ho!
5) investire nel brand: ce l’ho…

Se fosse un album di figurine, magari sul buon management, tra quelle mie e quelle scambiate le avrei tutte, potrei consegnarlo domani ai miei clienti e risolvere i loro problemi di vendite che ormai attanagliano in una morsa quasi tutti i settori. A proposito, se sull’album di questo head hunter c’è posto per la numero 2 poc’anzi citata, conosco diversi manager tra i 40 ed i 50 che fino ad oggi non sono riusciti a fare “scambio”.
E invece c’è qualcosa che non passa perchè questi utili consigli sono traiettorie strategiche lungo le quali le aziende si muovono già da tempo, soprattutto nell’ambito della Moda, non vedo cosa ci sia di anticrisi!
E allora rifletto: forse, prima di tutto, è il caso di lasciare che i nostri imprenditori elaborino i lutti che la congiuntura attuale sta creando (indiscriminato ricorso alla delocalizzazione; lavoro a basso costo anche per i luxury brand; investimenti miopi e discutibili in ragione di ROI sempre comunque positivi; omologazione) e che maturino nuove Vision e nuove Mission, perchè anche dietro eventi naturali distruttivi si nasconde la rinascita e con essa la forza creativa.
Poi ci sarà spazio per riprogettare le curve del valore ed i brand, magari fondendo l’identificazione ed il senso d’appartenenza con la trasmissione di valori  e di messaggi sociali. E mi fermo qui, in fondo non sono stato interpellato e nessuno degli imprenditori a cui è rivolto mi ha stretto la mano trasferendomi emozioni o paure…
Mi ricade l’occhio sull’articolo-anticrisi e ci vedo un messaggio commerciale neanche tanto subliminale, forse irrispettoso e sfogliando il mio album Panini mi consolo con  la saggezza popolare di Luciano Ligabue:

“Ho messo via un po’ di consigli
dicono: è più facile
li ho messi via perché a sbagliare
sono bravissimo da me
mi sto facendo un po’ di posto
e che mi aspetto chi lo sa
che posto vuoto ce n’è stato,
ce n’e’ e ce ne sarà…”

Obama come Gesù.

Il 5 novembre 2008 verrà ricordato sicuramente per l’elezione del primo presidente nero degli Stati Uniti d’America. Potremmo discutere a lungo sul fatto che la società americana abbia dimostrato coraggio e capacità di condizionare profondamente il proprio futuro mentre noi non riusciamo ad evolvere e a staccarci da un sistema politico miope, ispirato al tornaconto personale ed orientato agli interessi di lobby.
Tutto questo non mi interessa ora: la storia ha assistito al declino degli imperi di ogni tempo, forse lo farà anche con noi (italiani ed europei) imprigionati tra egoismi e angosce di un vivere (stanco) alla giornata la dimensione sociale ed economica.
Ciò che in realtà mi ha colpito è vedere il mondo esultare, milioni di persone da ogni dove unirsi al popolo americano e idealmente festeggiare Obama: danze africane, cori europei, attivismo in Internet e al panificio sotto casa. Perché lo fanno? Come mai tanto entusiasmo?
In fondo il neo eletto dovrà occuparsi soprattutto di emergenze interne quali salute, disoccupazione, sicurezza, recessione, crisi finanziaria e, pur essendo un evento epocale, non è planetario: è americano. Che sia stata data una dimensione messianica al personaggio Obama in grado di risollevare le sorti mondiali e calmierare le ansie di tutti noi?
Forse si, ma se così fosse, di fronte alla trasformazione in atto del sistema finanziario mondiale, all’autodeterminazione socio-economica dei paesi emergenti e al perdurante controllo delle fonti energetiche da parte di pochi, meglio ridestarci alla svelta! Chapeau ai consulenti d’immagine e alle società di PR che hanno ispirato in tutti speranza e rivoluzione, ma in questo clima vagamente natalizio dobbiamo realizzare che l’epifania è passata e che ora è il momento di iniziare a pensare “tangibile” e attivare tutti i sensi! Vedere, ascoltare, toccare: vivere delle nostre sensazioni e non del mondo virtuale che giornalisti, esperti e opinionisti dei nostri tempi ci stanno propinando!

AAA Creativi cercasi: conformismo e irretimento nel Made in Italy.

Mi sono spesso chiesto perché le sale d’attesa di ogni sorta siano costellate di riviste obsolete, vecchie di parecchi mesi. Non è una questione di settore, o di stile, questo succede tanto presso lo studio dentistico, quanto dal gommista; tanto nello studio notarile, dallo stile austero e d’epoca, quanto nello studio d’architettura, minimalista e orientaleggiante. Di fatto l’attingere a pagine superate e sgualcite permette di ammazzare il tempo allontanando l’attenzione dai contenuti; ciò garantisce un rapido e indolore distacco al momento del proprio turno.
Ed è in una delle recenti attese all’accettazione per un tagliando auto che l’occhio mi è caduto su un  inserto di design allegato ad un noto quotidiano, con oltre un anno di vita…
Comincio a sfogliarne le pagine con il giusto automatismo distaccato, tra foto di ambienti poco avvezzi all’abitabilità e case che tra vent’anni saranno apprezzate solamente dagli appassionati di storia del design. Ma ecco che la mia perversa passione per le lampade mi fa soffermare sulla pubblicità di un marchio di divani sapientemente accostato ad una piantana che oggi va per la maggiore: spettacolare! Una perfetta espressione del design italiano che ci caratterizza per originalità ed eleganza in tutto il mondo, frutto di un background culturale e del gusto inimitabile del quale facciamo parte.
Torno a sfogliare svogliatamente la mia rivista e… poche pagine dopo una nuova pubblicità, un altro marchio di divani con la stessa lampada posta nella medesima posizione. Che coincidenza! E’ curioso vedere che due aziende di un settore chiave per immagine in tutto il mondo abbiano avuto la medesima idea d’ambientazione. Continuo divertito pagina dopo pagina ed incappo in una pubblicità analoga alle due precedenti: stessa lampada, diverso il divano. A questo punto cambio umore: mi chiedo come tre aziende in prima linea nella rappresentatività del Made in Italy si possano livellare in modo convenzionale su così banali posizioni conformiste. Rifletto: ma l’immagine di brand e di prodotto non sono attività marginali neanche in realtà di piccole dimensioni qualora ci sia un netto orientamento al design! Chi opera in questo segmento è nella parte alta della piramide di Maslow, dove le dinamiche emozionali, di appartenenza o di autorealizzazione rivestono un valore strategico. In questo contesto le attività di comunicazione e marketing sono gestite non solo dall’Ufficio Marketing interno, ma anche dal supporto di consulenti, agenzie e fotografi che collaborano con le aziende. Possibile che una tale filiera di creativi non riesca a mettere in campo idee più originali?
La gratificazione dei milioni di clienti che in tutto il mondo scelgono il prodotto italiano e che attraverso di esso cercano l’esperienza emozionale di un lusso di fascia media, può essere soddisfatta in modo così conformistico?
Mentre mi pongo la domanda penso alla Classe Creativa di R. Florida, a come essa sia alimentata da tre valori fondamentali, le tre “T”: talento, territorio e tolleranza. Mentre sul primo punto oggi c’è una forte attenzione da parte di tutti in quanto risulta sempre più strategico attrarre a se tale asset, per gli altri due molto deve essere ancora fatto, soprattutto nel nostro Nord-est.

Proseguo nella mia trepidante attesa saltando ormai gruppi di pagine fino alla quarta di copertina dove, con assoluta sorpresa, trovo pubblicizzata la lampada che ci ha accompagnati fino a qui, questa volta unica protagonista, indiscussa e riscattata da un’immagine banalizzata e superficiale. Non è ancora il mio turno, per il momento ripongo delicatamente il cimelio con le altre riviste ed avverto un improvviso bisogno di sgranchirmi le gambe…

IKEA, oceano blu e stratagemmi cinesi.

Qualche giorno fa mi sono immerso per la prima volta nell’esperienza di “assemblaggio mobili Ikea”: un carrello da servizio dal design minimalista e solido (lavoro per neofiti). Prezzo: incredibilmente basso. Valore percepito: alle stelle!
E’ il giorno della sfida. Preparo la mia scarsa dotazione di attrezzi e mi accingo ad aprire la confezione dal profilo ad “L” in grado di incastrarsi con le atre confezioni dello stesso prodotto stile “Tetris”. La cosa non mi sorprende vista l’attenzione (quasi ossessiva) dell’azienda agli aspetti logistici. Non solo, colto da perversione latente, misuro la confezione: 80x50x20cm, due affiancati ed un terzo “di taglio” riempiono esattamente la superficie di un pallet EUR. Spettacolare!
Il montaggio, facilissimo grazie alle istruzioni a prova di stupido, alimenta con progressione la mia autostima, minata solamente nella fase finale causa una distrazione che eludeva il rigido protocollo, poi facilmente recuperata. L’operazione termina abbastanza rapidamente creandomi un bisogno irrefrenabile di ripetere l’esperienza: in quel momento non avrei scambiato il mio manufatto con nulla.

Tutto lascia pensare che io abbia vissuto un’esperienza “Oceano Blu”, possibile?
Ma la strategia “Oceano Blu” esiste veramente?
Personalmente ho sempre pensato che sia difficile pianificare a priori scelte strategiche in grado di rivoluzionare la value proposition. Sicuramente, il grande merito di Chan Kim, autore di “Strategia Oceano Blu”, è di aver codificato le scelte strategiche rilevanti nel “framework delle quattro azioni”. Quest’ultimo permette di ricreare una nuova curva del valore eliminando gli asset dati per scontati a favore di nuovi fattori mai offerti dal settore, e al contempo incrementare e diminuire con criteri simili quelli esistenti.
Io avevo acquistato un prodotto dall’elevata value proposition che ho potuto assemblare al limite della commozione, grazie ad istruzioni chiare e precise. E ancora, politiche di approvvigionamento efficaci, studi su packaging e logistica, contribuivano ad abbattere il prezzo. Tutto ciò non si improvvisa, si pianifica e da molto lontano.
A questo punto è tutto chiaro, mi sono trovato nel mezzo di un Oceano Blu dell’arredamento! Devo ricredermi.
Mentre mi accingo a preparare un post sull’argomento, mi documento sui numeri IKEA e…. qualcosa mi balza all’occhio: fatturato globale 2007: 19,8 miliardi di €; clienti nel mondo: 458 milioni (fonte: Capital); importo medio scontrino: 43€.
IKEA è tutto fuorché un venditore di “mobili”… o meglio non è l’attività principale ed allora penso a quante volte ho acquistato uno spazzolino, una cornice, un vaso nelle mie periodiche visite ai loro negozi…
Torno al mio dubbio iniziale sul tema “blue ocean” ma mi sovviene uno dei trentasei stratagemmi cinesi, il sesto delle battaglie vincenti: “clamore a oriente, attacco a occidente”, ovvero “crea false impressioni nel nemico e colpisci dove meno se l’aspetta…”
Spunti sugli argomenti:
http://www.blueoceanstrategy.com
http://en.wikipedia.org/wiki/Thirty-Six_Strategies