Crisi del fashion Made in Italy tra figurine Panini e “buoni” consiglieri…

Qualche sera fa mi stavo dedicando a tutte quelle email non prioritarie che dopo qualche giorno rischiano il “seleziona tutto & cancella”. All’interno di un Google alert trovo il link ad un articolo su Spazio Impresa dedicato alla crisi del Made in Italy ed a 5 utili consigli per uscirne. Fonte: una nota società di selezione specializzata nel settore moda. Data l’autorevolezza di cui gode decido di leggere e mi concentro, pronto a spremere i consigli anticrisi… VIA:

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1) puntare su software e personale qualificato per migliorare la gestione: ce l’ho!
2) valorizzare l’esperienza  affidandosi a manager con una lunga carriera in grado di affrontare più serenamente la congiuntura: ce l’ho!
3) spazio alla creatività: ce l’ho!
4) più forza alla rete vendita: ce l’ho!
5) investire nel brand: ce l’ho…

Se fosse un album di figurine, magari sul buon management, tra quelle mie e quelle scambiate le avrei tutte, potrei consegnarlo domani ai miei clienti e risolvere i loro problemi di vendite che ormai attanagliano in una morsa quasi tutti i settori. A proposito, se sull’album di questo head hunter c’è posto per la numero 2 poc’anzi citata, conosco diversi manager tra i 40 ed i 50 che fino ad oggi non sono riusciti a fare “scambio”.
E invece c’è qualcosa che non passa perchè questi utili consigli sono traiettorie strategiche lungo le quali le aziende si muovono già da tempo, soprattutto nell’ambito della Moda, non vedo cosa ci sia di anticrisi!
E allora rifletto: forse, prima di tutto, è il caso di lasciare che i nostri imprenditori elaborino i lutti che la congiuntura attuale sta creando (indiscriminato ricorso alla delocalizzazione; lavoro a basso costo anche per i luxury brand; investimenti miopi e discutibili in ragione di ROI sempre comunque positivi; omologazione) e che maturino nuove Vision e nuove Mission, perchè anche dietro eventi naturali distruttivi si nasconde la rinascita e con essa la forza creativa.
Poi ci sarà spazio per riprogettare le curve del valore ed i brand, magari fondendo l’identificazione ed il senso d’appartenenza con la trasmissione di valori  e di messaggi sociali. E mi fermo qui, in fondo non sono stato interpellato e nessuno degli imprenditori a cui è rivolto mi ha stretto la mano trasferendomi emozioni o paure…
Mi ricade l’occhio sull’articolo-anticrisi e ci vedo un messaggio commerciale neanche tanto subliminale, forse irrispettoso e sfogliando il mio album Panini mi consolo con  la saggezza popolare di Luciano Ligabue:

“Ho messo via un po’ di consigli
dicono: è più facile
li ho messi via perché a sbagliare
sono bravissimo da me
mi sto facendo un po’ di posto
e che mi aspetto chi lo sa
che posto vuoto ce n’è stato,
ce n’e’ e ce ne sarà…”

Obama come Gesù.

Il 5 novembre 2008 verrà ricordato sicuramente per l’elezione del primo presidente nero degli Stati Uniti d’America. Potremmo discutere a lungo sul fatto che la società americana abbia dimostrato coraggio e capacità di condizionare profondamente il proprio futuro mentre noi non riusciamo ad evolvere e a staccarci da un sistema politico miope, ispirato al tornaconto personale ed orientato agli interessi di lobby.
Tutto questo non mi interessa ora: la storia ha assistito al declino degli imperi di ogni tempo, forse lo farà anche con noi (italiani ed europei) imprigionati tra egoismi e angosce di un vivere (stanco) alla giornata la dimensione sociale ed economica.
Ciò che in realtà mi ha colpito è vedere il mondo esultare, milioni di persone da ogni dove unirsi al popolo americano e idealmente festeggiare Obama: danze africane, cori europei, attivismo in Internet e al panificio sotto casa. Perché lo fanno? Come mai tanto entusiasmo?
In fondo il neo eletto dovrà occuparsi soprattutto di emergenze interne quali salute, disoccupazione, sicurezza, recessione, crisi finanziaria e, pur essendo un evento epocale, non è planetario: è americano. Che sia stata data una dimensione messianica al personaggio Obama in grado di risollevare le sorti mondiali e calmierare le ansie di tutti noi?
Forse si, ma se così fosse, di fronte alla trasformazione in atto del sistema finanziario mondiale, all’autodeterminazione socio-economica dei paesi emergenti e al perdurante controllo delle fonti energetiche da parte di pochi, meglio ridestarci alla svelta! Chapeau ai consulenti d’immagine e alle società di PR che hanno ispirato in tutti speranza e rivoluzione, ma in questo clima vagamente natalizio dobbiamo realizzare che l’epifania è passata e che ora è il momento di iniziare a pensare “tangibile” e attivare tutti i sensi! Vedere, ascoltare, toccare: vivere delle nostre sensazioni e non del mondo virtuale che giornalisti, esperti e opinionisti dei nostri tempi ci stanno propinando!